Spesso può accadere che tra il lavoratore dipendente e il datore di lavoro nascano delle controversie, alle quali si può decidere di porre fine, in sede protetta, ricorrendo alla Conciliazione Sindacale, con la quale il lavoratore rinuncia a rivendicare un determinato diritto in cambio di un risarcimento economico/monetario.
Sotto un profilo sostanziale, è un contratto di transazione (ex art. 1965 c.c.), con il quale le parti prevengono o pongono fine ad una lite già iniziata, facendosi reciproche concessioni con le quali esse possono costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici.
Sotto un profilo procedurale, la Conciliazione è un procedimento attraverso il quale le parti, con la presenza ed assistenza del soggetto conciliatore, cercano di porre fine alla lite insorta in modo tale da raggiungere una soluzione soddisfacente per entrambi gli interessati che sottoscrivono il documento.
Ai sensi dell’art. 411 c.p.c., è indispensabile la presenza di conciliatori, per i quali l’organizzazione sindacale di appartenenza ha previsto una designazione e/o il deposito della firma presso l'Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL). È proprio la presenza di un terzo, il conciliatore, l’elemento caratterizzante della conciliazione che, diventa sindacale, quando tale soggetto è designato dall’organizzazione sindacale di appartenenza.
L’accordo conciliativo (e suo relativo verbale sottoscritto da tutte le parti) rappresenta un vero e proprio strumento che attribuisce potere negoziale alle parti, in presenza di un soggetto terzo, al fine di presupporre una reciproca soddisfazione delle parti, nel vicendevole riconoscimento di diritti ed obblighi e nell’attuazione degli stessi.
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